Elea-Velia

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giovedì 18 marzo 2010

Una Repubblica fondata sulla televisione di Giancristiano Desiderio













Non siamo ad Anno Zero ma all’anno zero. Tutto sommato non c’è molta differenza. Sono
vent’anni che abbiamo a che fare con Santoro, Samarcanda, la piazza, sandroruotolo, la protesta e la brutta copia della democrazia diretta ossia la democrazia “in diretta”.
Sono vent’anni che ci sorbiamo Berlusconi,la nenia sull’egemonia culturale dei comunisti, la lottizzazione, il duopolio Rai-Mediaset (che tanti anni fa si chiamava Fininvest), l’interferenza dei giudici nella campagna elettorale. È un telefilm visto già innumerevoli volte. La lotta politica e antipolitica per il controllo della
scatola televisiva ha rotto le scatole. Scusate l’eccessiva schiettezza del linguaggio, ma questo polpettone teleelettorale è andato a male in tempo reale e,
tuttavia, non riusciamo a liberarcene. Il guaio grosso è che la lotta per la scatola audiovisiva e virtuale invade la vita reale e tende a far credere che tutto il potere
- che sarebbe meglio chiamare Stato - sia lì dentro, in quei ventotto o trentadue pollici in analogico o digitale. Siamo diventati una democrazia fondata sulla televisione e non possiamo stupirci se l’Italia scivola in fondo a tutte le classifiche del mondo per libertà economica e morale. Occupati come siamo a vedere il
mondo solo in tivvù abbiamo semplicemente perso di vista la realtà.
Berlusconi e Santoro sono i Grandi Fratelli della nostra democrazia. Fate un piccolissimo sforzo di memoria. Non vi sembra di ricordare che lo scontro di oggi sia già andato in onda almeno un paio di volte? Non ricordate quando Santoro aprì la sua trasmissione dell’epoca - Il raggio verde - intonando Bella ciao? E non ricordate
la telefonata in diretta del Cavaliere, all’epoca presidente del Consiglio proprio come oggi, che era un fiume in piena e richiamava Santoro all’ordine della televisione di Stato?
«Santoro - diceva si accalorava il capo del governo - le ricordo che questo è un servizio pubblico e lei è un dipendente del servizio pubblico». Forse, all’epoca tutto ciò ci sembrava epico; forse, un po’ tutti nutrivamo l’idea che si stesse combattendo una battaglia postmoderna fondamentale per le nostre libertà: da una parte la libertà di critica e di cronaca (e di satira) e dall’altra la libertà del governo dagli assalti senza soluzione di continuità del circo e circolo mediatico-
giudiziario. Abbiamo creduto tutti a delle menzogne. Perché se fossero state cose serie sarebbero state, volenti o nolenti, affrontate e in qualche modo sistemate. Invece, cambiano i governi, cambiano i consigli di amministrazione della Rai,
cambiano le trasmissioni e perfino - anche se non sembra - i conduttori, ma niente cambia nella lassù e qua giù: Berlusconi e Santoro, in perfetta par condicio, sono ancora in lotta tra loro e contro di noi.
Chissà se c’è al mondo un altro Paese in cui ci sia una cosa come il Cda Rai. Chissà se c’è al mondo un altro Paese in cui sia la commissione di vigilanza e la par condicio e il divieto dei talk show in campagna elettorale. Non sembra ci sia al mondo un’altra democrazia con Berlusconi e Santoro. Il Cavaliere è un caso più unico che raro: non perché non ci siano politici proprietari di televisioni, ma perché la
videocrazia berlusconiana dura da tanto tempo e la logica pubblicitaria che muove il teatrino televisivo di Berlusconi ha ormai rivelato il suo bluff. Anche Michele Santoro è una rarità tutta italiana: ogni sua trasmissione è la popolarizzazione da salotto televisivo della marxistica falsa coscienza di chi governa e che, per definizione, è colpevole. Si azzuffano da vent’anni per il controllo del video e
noi che li vediamo arrabbiarsi e imbufalirsi abbiamo finito con credere alle loro bugie e virtualità. Non ne possiamo più.Vogliamo un Paese senza par condicio, senza Cda e vigilanza, senza un premier che si preoccupa dei palinsesti, senza giornalisti rivoluzionari e decorati al valore antiberlusconiano.
Vogliamo quello che una volta fu definito un Paese normale. Ma lo si potrà
vedere solo in televisione.

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