Elea-Velia

Elea-Velia

martedì 9 marzo 2010

Reality di Peter Kingsley




















I. Il viaggio finale.

Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa- Isaia

1.

Sarebbe bene annotare queste cose prima che siano perse per altri due mila anni.
Per favore non fraintendetemi. Quello che ho da dire si trova in ogni luogo: nell’aria che noi respiriamo, in ogni foglia cadente, in ogni singolo oggetto che vediamo. Esserne consapevoli e rompere l’incantesimo fiabesco in cui siamo avvolti- questa è un’altra storia.
Seguirà uno strano racconto: strano, perché è il racconto alle origini della storia della nostra vita. Se si trattasse di qualcos’altro, se si trattasse semplicemente di cose accadute nel passato, allora saremmo liberi di continuare a dimenticare. Ma così non è, questo racconto non vi lascerà soli e non vi darà pace.
Molto spesso cerchiamo di convincerci che stiamo vivendo intensamente, una vita soddisfacente. Ma c’è sempre qualcosa che ci inquieta; ambizione, insoddisfazione ne sono solo l’ombra. E continuerà a lacerare i nostri cuori fino a quando non incominceremo a recuperare ciò che abbiamo perso.
Forse sarai tentato a credere a questo racconto. Nel caso tu dovessi crederci permettimi di avvertirti cortesemente, in quanto potresti ritrovarti a dover rinunciare alle tue convinzioni. La posta in gioco è alta.
Potresti supporre che esista una sorta di isola felice in cui tu puoi ottenere cose in due modi diversi. Ma credimi, secondo la mia esperienza posso dirti: non c’è affatto. Se non vuoi abbandonare le tue credenze , ti basterà ignorare quello che andrò dicendo.
In entrambi i casi, non fa vera differenza per me. Il mio compito è solo raccontare la storia- questo è tutto. Ed inoltre: ci sono cose che, una volta che sono state dette, non possono essere ritrattate.
Esse sono scritte sulle pietre.
E ciò che è scritto sulla pietra ti riguarda. E tu sei la pietra.

2.

Verso la fine del VI secolo avanti Cristo, nasce qualcuno chiamato Parmenide.
La sua Patria: una piccola città chiamata Velia nel Sud Italia.
Se però vogliamo capire il contesto in cui visse Parmenide, non è sufficiente concentrarsi sull’Italia del sud- anzi è del tutto insufficiente.
La città di Velia venne alla luce e costruita appena pochi anni prima della nascita di Parmenide. La popolazione che La fondò era di stirpe greca, ed erano conosciuti come Focei, perché provenivano da Focea: una città distante centinaia di miglia da Velia, verso est, sulla costa occidentale dell’attuale Turchia. Era all’incirca il 540 A.C. quando i Persiani cacciarono i Focei dalla loro antica città d’origine costringendoli a vagabondare nel Mediterraneo, avanti e indietro, su e giù, alla ricerca di un nuovo posto dove stabilirsi e vivere.
Il racconto del loro vagabondaggio- di eroi alla ricerca degli eroi perduti, di uomini e donne insieme a bambini che legano le loro vite alla capacità o meno di rispondere ad un oracolo che parla di enigmi di Apollo- è come un romanzo che gli storici hanno voluto ignorare liquidandolo come racconto inventato. Ma un certo tipo di scoperte fatte qua e là in anni recenti hanno mostrato quanta verità esso contiene. Ed inoltre: quando trattiamo della storia dei focei, pezzo dopo pezzo noi dobbiamo dischiudere le nostre menti. Per gente come loro, finzione era una realtà e ciò che noi ci dilettiamo a riferire come dei fatti erano delle storie frutto dell’invenzione.
In tutto questo dramma che porta all’arrivo finale a Velia, proprio in quel breve periodo prima che nascesse Parmenide, una considerazione quest’ultima che occorre tenere ben presente.
È che i Focei erano un popolo molto, molto conservatore. Dopo che essi se ne andarono verso ovest conservarono i loro antichi costumi dall’Anatolia intatti e inalterati per secoli- quasi per mille anni. Anche nella loro difficile situazione, con l’esercito Persiano alle loro porte senza un momento da perdere o sprecare, la loro priorità fu quella di recuperare ogni singolo oggetto che li avrebbe aiutati a mantenere il filo delle loro tradizioni religiose senza interruzione ovunque essi fossero riusciti ad andare.
Potrebbe sembrare un punto poco importante, non valere molta attenzione. Ma per la nostra storia è piuttosto cruciale.
I focei potrebbero sembrare un piccolo popolo, di poco conto. Ma le apparenze possono essere ingannevoli.


3.

Potresti chiederti per quale motivo mi affanno, e vi affanno, con questi dettagli.
Tutto ciò ha che fare con Parmenide.
Quest’uomo ha giocato un ruolo straordinario nell’Occidente, quasi inconcepibile: dando forma al mondo e alla cultura in cui viviamo.
Vi sono buone probabilità per cui tu non abbia mai sentito parlare di Parmenide, e c’è un motivo per questo. Da sempre domina la strana tendenza da parte dei studiosi di tenerlo dietro le quinte- persino quando si scrive di lui. C’è qualcosa, in Parmenide, che oltrepassa gli schemi familiari della nostra comprensione.
Da molto tempo a questa parte Parmenide è stato riconosciuto dagli specialisti e dagli storici il fondatore della logica; il fondatore del razionalismo. E come puoi vedere da quest’ultima espressione, non si tratta soltanto del significato particolare che assume per gli studiosi del passato. Non è neanche il fatto della sua importanza nel gettare le fondamenta della filosofia e della scienza, nell’intero processo della moderna istruzione. Ciò che è realmente in gioco qui è ancora più essenziale di tutto ciò.
Riguarda le origini della nostra cultura occidentale, di come noi pensiamo e ragioniamo. E questo è qualcosa che ci tocca tutti intimamente.
Discutere di ragione e logica è abbastanza semplice. Ma comprendere cosa sono, vedere di sfuggita cosa nascondono, è qualcosa di completamente differente. Il fatto è che quello che noi abbiamo finito per designare logica e ragione è solo un inganno, considerandoli come ciò che essi non sono.
Ragione è una di quelle cose- come il senso comune- che ognuno da per scontato di saperne il significato. Già da bambini ci dicono di essere ragionevoli, costringendoci a fare quello che gli altri vogliono. Noi siamo tutti convinti di avere una idea chiara di cosa sia la ragione. Ma non c’è nessuno che ce l’abbia.
Più hai l’impressione di avvicinarti più l’idea diventa vaga. E più hai l’impressione di avvicinarti a persone che pretendono di essere molto razionali, più risultano essere irrazionali. Noi viviamo in un mondo di ombre senza più accorgercene, o comprendere cosa stia accadendo.
Prendiamo la logica, anch’essa non è quello che sembra- o ciò che fu un tempo. Originariamente non aveva niente a che fare con formule complicate e calcoli bizzarri. Il suo intento era destare consapevolezza: per attingere e trasformare ogni aspetto dell’essere umano. Quello che noi oggi consideriamo come logica può essere assimilato ad una neonata che si affanna sull’importanza delle scarpe di sua madre. Con i nostri dibattiti eruditi e senza fine sugli ultimi duemila anni su religione e razionalità, logica e scienze, non riusciamo più ad afferrare la realtà e ci comportiamo come dei neonati. È arrivato il tempo di ricominciare a crescere.
La gente di cui vi voglio parlare in questo libro non è immaginaria. E non provengono dall’America Centrale o dall’India o meglio da qualche lontano paradiso esotico dell’Oriente ma dalle radici della civiltà occidentali. Costoro formano le radici della nostra civiltà occidentale; sono le fonti la nostra cultura. Lentamente, gradualmente, essi sono stati travisati. E, come conseguenza, non riusciamo più a comprendere noi stessi.
Facciamo tutti parte di questa storia: questo è un libro di cui noi siamo le pagine.
Le implicazioni di questa incomprensione sono straordinarie. Così importanti, onnicomprensivi, che difficilmente possiamo più intuirli. Forse il modo più semplice di descrivere la situazione consisterebbe nel dire che, duemilacinquecento anni fa nell’Occidente, ci fu fatto un regalo- e noi puerilmente abbiamo gettato via le istruzioni d’uso. Abbiamo conosciuto con cosa stavamo giocando. E, come risultato, la civiltà occidentale potrebbe essere nient’altro che un esperimento fallito.
Gli scritti di Parmenide, e di altri come lui, sopravvivono allo stato di frammenti. Gli studiosi hanno escogitato ogni sorta di giochi con essi. Per secoli hanno continuato i loro esperimenti distorcendo e torturando questi frammenti finché non sembrò che fornissero un senso esattamente opposto a quello originario. Per poi continuare infinite dispute sul loro significato e metterli in mostra come reperti in un museo.
Nessuno capì veramente quanto fossero importanti.
Sebbene questi frammenti sopravvivano in briciole e pezzi, essi sono molto meno frammentari di noi stessi. E molto più che parole morte.( Even though they only survive in bits and pieces, they are far less fragmentary than we are. And they are much more than dead words- pag. 21). Sono come dei tesori mitologici- un inestimabile oggetto che è stato perso e maltrattato e necessita di essere riscoperto a tutti costi.
Ma questa storia non è mitologia, o fiction. È reltà. Fiction è come essere seduto su una miniera d’oro sognando dell’oro; è tutto quello che accade quando tu dimentichi ciò.
Non c’è assolutamente niente di mistico in quello che sto dicendo.
È molto semplice, assolutamente realistico e pratico. Siamo inclini a pensare di avere i piedi per terra quando ci occupiamo di fatti. Ed ancora di per sè i fatti non hanno alcun significato: è molto facile non riuscire a districarsi con dei fatti così come è facile perdersi nelle fictions.
Essi hanno il loro valore, e noi dobbiamo usarli- ma usarli per andare oltre loro. I fatti da soli sono come se stessero in cima ad una miniera d’oro e graffiandovi la polvere rimangono nello stesso posto.( They have their value, and we have to use them- but use them to go beyond them. Facts on their own are like sitting on top of a goldmine and scratching at the dust around our feet with a little stick- pag 21).
Tutti i nostri fatti, così come tutto il nostro ragionamento, sono solo una facciata. Questo libro tratta di quello che essi hanno ricoperto, della realtà che vi è nascosta. Dietro questo tesoro nascosto troviamo la nostra vera origine, la nostra eredità; e su ciò che noi dobbiamo essere preparati se vogliamo recuperarlo. (All our facts, like all our reasoning, are just a facade. This book is about what they have covered over, about the reality that lies behind. It's about the buried treasure that is our birth-right, our heritage; and about what we have to be prepared for if we want to reclaim it- pag. 22).


4.

Più ci avviciniamo a Parmenide, più il tutto ci diventa estraneo.
Il guaio è che da molto tempo ormai abbiamo perso la capacità di imparare da ciò che ci risulta estraneo(The trouble is that we lost the ability to learn from strangenesses a long time ago).
Siamo spaventati, le nostre convinzioni vengono messe in discussione, e più ci sentiamo coinvolti, più ci sentiamo minacciati. In questo mondo è diventato molto più facile crearsi un rifugio, un mondo fittizio; vedere solo ciò che vogliamo vedere e ignorare tutto il resto.
La maggior parte delle traduzioni moderne di quello che Parmenide disse hanno poco a che fare con il significato del suo greco originale. Quasi ogni anno vengono pubblicate su Parmenide pagine e pagine- interpretandolo alla luce di interessi e problemi contemporanei, in una continua divisione. Mentre ciò che è fondamentale sembra sparito completamente. (Pages and pages are published about him every year- interpreting him in the light of contemporary interests and issues, splitting endless hairs. But what is most essential is left completely untouched).
C’è qualche motivo di base che doveva essere nascosto, dei punti essenziali che non è possibile accantonare. Assolutamente non abbiamo altre possibilità. Come cultura e civiltà possiamo illuderci nell’eterno progresso. Nonostante il nostro amore per giocattoli creativi e distruttivi, stiamo andando verso il nulla. Noi siamo come qualcuno che ha afferrato la maniglia di una porta. L'unica possibilità immediata è iniziare a tornare sui nostri passi - è liberarsi dai malintesi riguardo al nostro passato e su quello che noi siamo.( We are just like someone who has caught a strap on a door handle. The only way forward is to start by going back- is to detach ourselves from the misunderstandings about our past and about what we are).
Sulla base dei frammenti che ha scritto, Parmenide è considerato come l’inventore della logica. E già qui incontriamo qualcosa di strano. Non vi era alcuna necessità di scrivere in forma poetica. Egli avrebbe potuto più facilmente usare una prosa asciutta invece.
È certamente vero che per molto tempo Lui è stato licenziato come un cattivo poeta. Ma tale giudizio si basa su un puro pregiudizio.
Risale alla vecchia credenza, formulata per la prima volta in modo chiaro da Aristotele secondo cui logica e poesia non hanno niente in comune- e se qualcuno fosse preoccupato che trovando la verità riuscirebbe a diventare un poeta il risultato sarebbe un disastro.
Il problema è che il poema di Parmenide non è per niente un disastro. Alcuni moderni studiosi si sono avvicinati ai suoi frammenti gettandovi un sguardo nuovo e hanno compreso che egli riuscì a creare una forma poetica bella e sottile rispetto qualunque lingua, non solo il greco. Ancora: accantonare Parmenide come poeta scaturisce dal presupposto che il fine della poesia sia intrattenere. Come vedremo gradualmente: il Poema di Parmenide aveva uno scopo molto differente.
E poi, indipendentemente dal modo in cui Lui scelse di esprimersi, c’è da chiedersi cosa abbia voluto dire effettivamente.
Certamente scrisse di logica, ma solo nella sezione centrale del suo poema, nella seconda di tre parti. In qualche modo, si è sorvolato sulla prima parte e rapidamente ci si è dimenticati dell’ultima parte. Come avrai potuto notare un aspetto importante per imparare a ragionare presuppone la facoltà di concentrarsi su un singolo aspetto e trascurare l’insieme.
Parmenide ha spiegato nel dettaglio come sia riuscito ad apprendere le sue conoscenze. Ci trasmette con gentilezza dei suggerimenti su come dobbiamo prepararci se vogliamo avvicinarci e comprendere quello che ha da dirci. Ci offre chiari avvertimenti sulle insidie, gli ostacoli che possiamo incontrare. Ma oggi come oggi nessuno ha la pazienza o l’umiltà per prendere queste indicazioni ed avvertimenti seriamente. Gli uomini si precipitano diritto su ciò che Parmenide ha detto sulla logica, e sono divenuti così fiduciosi nella loro capacità di ignorarne le istruzioni che non riescono a rendersi conto di come siano rimasti disperatamente aggrovigliati.
La nostra è diventata la cultura di quello che ci fa più comodo: ma comprendere se stessi ci disturba perché il mondo in cui viviamo è stato capovolto.
Con Parmenide non è possibile prendere scorciatoie. Semplicemente occorre ricominciare dal principio.


5.

E per Parmenide il tutto inizia non meditando, o graffiando le nostre teste, ma proprio così:

Le giumente che mi conducono fin dove il mio desiderio chiede
procedevano, dopo che le dee mi guidarono
lungo la strada leggendaria della divinità che conduce colui che sa
attraverso l’ignoto sconfinato e oscuro. Sempre più avanti
venivo condotto e le giumente, edotte del sentiero, mi conducevano
trainando il carro, e giovani donne mostravano la strada.
L’asse del mozzo emetteva un suono di canna vuota,
arroventato dalla pressione dei due rotanti cerchi
posti su entrambi i lati; fanciulle, figlie del Sole,
che avevano lasciato le dimore della Notte
per dirigersi verso la luce, con le mani
sollevavano dai loro volti i notturni veli.
Là sono le porte del sentiero della Notte e del Giorno,
tenute salde da un architrave e da una soglia di pietra;
s’innalzano fino ai cieli con giganteschi battenti.
E le chiavi, che aprono e serrano, sono tenute salde dalla Giustizia,
che sempre esige ciò che è dovuto. E con dolci parole suadenti
le accorte fanciulle la persuadevano a togliere senza indugio
la spranga che chiude le porte. E come i battenti si aprirono,
facendo girare, ora da una parte ora dall’altra, i perni e le viti
nelle canne di bronzo vuote, si aprì un abisso. Rapide le fanciulle
tennero saldi carro e cavalli lungo la strada.
La dea mi accolse benevola e con la mano prese la mia destra
e mi rivolse le seguenti parole: “Benvenuto, giovane, compagno di aurighe immortali,
che giungesti alla nostra dimora condotto da giumente.
Non fu sorte maligna che ti portò a seguire la strada
così lontana dagli umani sentieri, ma Legge e Giustizia.
Ciò che ti abbisogna è apprendere ogni cosa, il cuore saldo
della ben rotonda Verità e i giudizi dei mortali,
in cui non si può riporre fiducia.
e ancora questo apprenderai: alle apparenze
si deve prestar credito se di ogni cosa si tiene conto”.


E già da questi primi frammenti è possibile scorgere degli indizi dell’intero poema.
Uno dei fattori determinanti in questa strana cosa che per Parmenide influenza tutto- che determina semplicemente a quale distanza in questo viaggio egli possa in realtà arrivare- è il desiderio.
Il termine greco che egli usa è “thumos” , e “thumos” significa l’energia della vita stessa. È la cruda presenza in noi che tocchiamo e percepiamo; l’immenso potere del nostro essere emotivo. Soprattutto è l’energia della passione, l’appetito, il desiderio ardente, la voglia.
Fin dai tempi di Parmenide abbiamo imparato così bene a custodirlo, a dominarlo, punirlo e controllarlo. Ma con Lui è ciò che viene per primo, proprio all’inizio. E in questo vi è un significato profondo- perché quello che Lui sta dicendo è che- lasciato a se stesso- il desiderio ci permette di andare lungo tutta la strada dove realmente dobbiamo giungere.
Con passione e desiderio non è possibile alcun ragionamento, anche se preferiamo ingannare noi stessi credendo che vi sia. Tutto ciò che facciamo è ragionare con noi stessi sulla forma che il nostro desiderio andrà assumendo. Ci illudiamo che se trovassimo un lavoro più soddisfacente saremmo più felici, ma non lo saremo mai. Ci illudiamo che andando in qualche posto speciale saremo felici; ma appena arrivati siamo gia pronti per ripartire e andare da qualche altra parte. Ci illudiamo che se ci addormentassimo con l’amante dei nostri sogni saremmo soddisfatti. E ancora, anche se ci fossimo riusciti, non sarebbe ancora abbastanza.
Ciò che noi definiamo natura umana non vuole dire altro che essere tirati per il naso in cento direzioni diverse per poi alla fine arrivare da nessuna parte. Ma sebbene non vi sia alcuna logica nella nostra passione, essa contiene una straordinaria intelligenza di per sé. L’unico problema è che continuiamo a interferirvi; continuiamo a scomporla in tanti piccoli pezzi, disperdendola ovunque. La nostra mente riesce sempre a corromperci sulle piccole cose che noi pensiamo di volere- piuttosto che sul carattere del volere stesso.
Se riuscissimo a sopportare il nostro desiderio invece di stare alla ricerca di infiniti modi per soddisfarlo e tentando di evitarlo, incominceremmo a scorgere cosa si nasconde dietro le quinte. Aprendo una devastante prospettiva che capovolge un po’ tutto nella nostra concezione: dove realizzazione diventa una limitazione, completamente trasformata in una trappola. E fa tutto questo con una intensità che confonde i nostri pensieri e ci costringe a concentrarci solo sul presente.( It opens up a devastating perspective where everything is turned on its head: where fulfilment becomes a limitation, accomplishment turns into a trap. And it does this with an intensity that scrambles our thoughts and forces us straight into the present).
Il poema di Parmenide non è fatto per accademici. Non troviamo niente di dotto in esso. La parola “studioso( scholar)” significa, letteralmente, una donna o uomo agiato. Gli studiosi sono persone che hanno molto tempo a disposizione, anche quando sono occupati: tempo da perdere, tempo per uccidere. Ma comprendere Parmenide è una cosa seria. Richiede la stessa intensità e urgenza di cui egli parla- l’urgenza del nostro stesso essere.
Per cui, non c’è affatto tempo da perdere.


6.

In questo strano mondo di miti ed esseri mitici evocato da Parmenide può sembrare, all’inizio, che niente ci appaia familiare.
Ciò che egli ci sta descrivendo è un viaggio alla fine di tutti viaggi: un cammino oltre qualunque esperienza umana ordinaria, “molto lontano dal cammino degli uomini”. Ma è naturale voler ridurre qualcosa di inusuale in termini più familiari. Fondamentalmente è successo che una tremenda quantità di energia è stata usata per trovare delle giustificazioni al viaggio.
È stato accantonato come un espediente retorico, una allegoria; come un vago tentativo poetico descrivendo come il filosofo abbandona la confusione per la chiarezza, l’oscurità per la luce.
Chiaramente noi siamo liberi di usare qualunque espediente cercando di sbarazzarci del viaggio di Parmenide. Ma prima di fare ciò, sarebbe una buona idea guardare cosa egli abbia detto.
E il fatto è che non c’è niente di vago in tutto ciò. Anche quando sembra vago, ciò è dovuto ad uno scopo molto particolare. Ogni immagine gioca la sua parte nell’insieme completamente coerente. Ogni singolo dettaglio è inserito in un contesto particolare.
Parmenide viene guidato nel suo viaggio da giovani fanciulle., le Figlie del Sole. Esse provengono dalle dimore della Notte ben noto nel mito Greco come le profondità dell’oscurità agli estremi angoli dell’esistenza, accanto al grande baratro chiamato Tartaro, dove terra e cielo hanno le loro radici. Questo è il luogo dove il mondo conosciuto si ricongiunge al mondo infero; dove tutti gli opposti che noi sentiamo e sperimentiamo mentre viviamo si ricongiungono.
Questo è il luogo dove il sole ritorna a casa con la sua famiglia per riposare.
Per quanto riguarda i cancelli attraverso i quali Parmenide viene condotto lungo i sentieri della Notte e del Giorno, essi sono i cancelli che aprono al mondo sotterraneo- separando il mondo a noi familiare dall’enorme baratro che si nasconde dietro ad esso.
E Giustizia, a guardia dei cancelli, è una immagine ancora familiare. Essa è la Dea che governa il mondo sotterraneo: la spietata fonte dell’ordine, l’origine di tutte le leggi.
Per quanto riguarda la Dea anonima che saluta Parmenide, non vi è tempo per dire qualcosa che Le riguarda.
In breve, le Figlie del Sole sono venute a prenderlo dal mondo dei vivi per riportarlo proprio nel loro mondo. Questo non è un viaggio dalla confusione alla chiarezza; dall’oscurità alla luce. Al contrario il viaggio che Parmenide ci sta descrivendo è esattamente il contrario. Egli sta entrando nel cuore dell’ultima notte dove nessun essere umano è in grado di sopravvivere senza la protezione divina. Egli viene condotto nel cuore del mondo sotterraneo, il mondo dei morti.
Ma c’è una richiesta che doveva essere esaudita: una domanda fondamentale.
Cosa significava per una persona in carne ed ossa nell’antica Grecia- non un eroe mitico o leggendario- fare un viaggio consapevolmente, intenzionalmente dentro un altro mondo?
Ed in particolare: come potrebbe qualcuno scendere o pretendere di giungere al mondo infero mentre è ancora in vita, mettersi in contatto con i poteri soprannaturali che là giacciono, imparare da essi, per poi far ritorno al mondo dei vivi?
La risposta è estremamente semplice.
Esisteva una particolare e affidabile tecnica che veniva usata da diversi gruppi di persone per affrontare il viaggio nel mondo dei morti; per morire prima di morire.
Implicava isolarsi in un luogo buio, sdraiati in un assoluto silenzio, rimanendo immobili per ore o giorni. Prima sprofonderà nel silenzio il corpo, poi eventualmente la mente. E proprio questa calma che permette l’accesso nell’altro mondo, un mondo dell’assoluto paradosso; che conduce ad un totale e diverso stato di consapevolezza. Qualche volta questo stato veniva descritto come della stessa natura di un sogno. Qualche volta veniva associato ad un sogno, seppure non fosse un sogno, ma come realmente ad un terzo tipo di coscienza comunque diverso sia del risveglio sia dell’addormentarsi.
Erano soliti usare un linguaggio tecnico associato alla procedura; una completa geografia mitica. E vi era un nome specifico che i Greci, e poi i romani, diedero a questa tecnica.
Essi la chiamarono incubazione.


7.

Nel momento in cui si è giunti a questo fondamentale collegamento tra il viaggio di Parmenide e la pratica dell’incubazione, le cose cominciano a schiarirsi.
Per esempio quando Parmenide incontra la Dea che lo istruirà su tutto, egli potrà procedere secondo una formulazione puntuale riscontrabile nel resto del poema, la Dea lo designerà immediatamente come “kouros”: parola che può essere tradotta come "giovanotto", "ragazzo."
Spesso gli studiosi chiedendosene il motivo, hanno escogitato le più impensabili soluzioni. Ma la risposta è molto semplice, e nello stesso tempo molto sottile.
Era già risaputo che il termine kouros non riguardava soltanto l’età fisica. Ma si rifaceva ad un complesso di tradizioni e rituali associati al coraggio, virilità, iniziazione, e in particolare, con un viaggio iniziatico per accedere in un altro mondo.
Quest’altro mondo è il mondo degli dei dove il kouros trova una fonte di nutrimento e di guida che gli esseri umani non riusciranno mai a dargli; dove se egli è fortunato, protetto dalla divinità, potrà incontrare la divinità che diventerà il suo nume tutelare, maestra e guida.
E ci sarebbe un altro Greco da menzionare accanto a Parmenide.
Il suo nome era Epimenide e proveniva da Creta, un isola situata nel Mediterraneo occidentale non molto lontano dalla costa dell’attuale Turchia. Egli, anche, scrisse in versi; fece un resoconto di ciò che aveva imparato nell’oltretomba. E spesso è stato notato che- proprio come Parmenide- egli ritenne importante descrivere i suoi incontri diretti con la Giustizia e la Verità in un altro mondo.
Le leggende che lo riguardano riferiscono che dopo questi incontri Epimenide divenne famoso per il suo ruolo di legislatore: conosciuto come un riformatore o qualcosa di simile. Tutto ciò non coinciderebbe con Parmenide che, secondo le fonti più attendibili, divenne per la propria città un famoso legislatore. Al contrario, più avanti vedremo l’importanza di un simile dettaglio.
E sull’isola di Creta gli abitanti designavano Epimenide, nel proprio dialetto, come “Kouros”. Anche questo, è molto di più di una coincidenza. Veniamo a conoscenza che l’antica tradizione del “kouros” a Creta aveva diretti collegamenti con le antiche tradizioni di un altro luogo in particolare.
Era Focea- la Madrepatria degli antenati di Parmenide prima che salpassero verso occidente per stabilirsi a Velia.
Ma oltre alla designazione di “kouros”, di riformatore o legislatore, vi è molto di più.
Epimenide aveva inoltre grande fama di essere un guaritore di successo e un profeta.
Si racconta poi che egli declamava i suoi poemi per il bene di guarire. Le riforme da lui varate trovavano la loro origine nella profezia: con le sue capacità riusciva a vedere come la giustizia trovava esecuzione in un altro mondo. E il fine di queste riforme era guarire le città così come i suoi abitanti.
Vi era una parola che gli antichi greci generalmente usavano per descrivere qualcuno come Epimenide. Essa era “Iatromantis”, un nome che semplicemente significava “profeta guaritore”.
E la tradizione ci racconta di come Epimenide diventa un “Iatromantis” dopo aver dormito per anni in una grotta facendosi trasportare, mentre giaceva là completamente immobile, dentro l’inusuale mondo della Giustizia e della Verità.
In altre parole: egli aveva imparato tutto ciò che conosceva attraverso la pratica dell’incubazione.

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